Olivicoltura

L'olivicoltura in Campania


oliveto

La Campania può vantare una storia olivicola molto antica e una struttura produttiva dalle grandi potenzialità Nel Cilento, nella Penisola sorrentina, a Paestum, ma anche in numerose altre aree della regione, la presenza dell'olivo è ampiamente documentata. La tradizione vuole che le prime piante fossero introdotte dai Focesi, nel IV sec. a.C. L'olivo domina il paesaggio nelle aree interne e svolge una funzione insostituibile nella protezione del suolo e nella conservazione dell'ambiente.

Modelli di coltivazione

L'olivicoltura campana appare molto diversificata nelle varie zone di coltivazione. Nella sola provincia di Salerno, ad esempio, convivono modelli di coltivazione profondamente diversi. Nel Cilento costiero - una delle aree a maggiore vocazione e tradizione olivicola - gli impianti appaiono ancorati a schemi tradizionali, con largo impiego di manodopera, allevamento a vaso impalcato alto, sesti ampi ed irregolari, piante di grande taglia e ultrasecolari, tecniche di coltivazione condizionate dalla dimensione delle piante e da un'orografia spesso difficile.

Nelle aree dell'Alto e Medio Sele, il cuore della nuova olivicoltura, dove intensa è stata l'azione di rinnovamento, invece, l'età media degli olivi è per un terzo inferiore ai 30 anni, mentre gli oliveti ultracentenari rappresentano solo il 20% del totale.

In questa zona si è fatta strada una nuova olivicoltura, intensiva, spesso irrigua, meccanizzata e innovativa, in grado di ridurre i costi di produzione e di migliorare la qualità del prodotto.

Ma segnali di rinnovamento vengono da tutte le principali aree olivicole della regione, dove intense sono state le azioni di ristrutturazione, razionalizzazione e ammodernamento degli impianti. Nella raccolta, fase cruciale ai fini del miglioramento qualitativo del prodotto, anche grazie ad una intensa azione informativa effettuata in questi anni, si registrano importanti e diffusi miglioramenti. Prevale, nettamente, l'uso delle cassette e si contraggono fortemente i tempi di attesa al frantoio. L'uso dei sacchi e la raccolta per caduta con l'ausilio di reti sono, ovunque, in forte regresso, e permangono solo in alcune aree caratterizzate da condizioni orografiche difficili e da piante di grossa taglia. La raccolta meccanica diviene una pratica sempre più diffusa.

La base varietale

Un elemento di grande importanza, che potrà contribuire all'affermazione dell'olivicoltura campana, è rappresentato dal patrimonio varietale della regione, che appare molto ricco e diversificato. In tutte le principali aree olivicole, infatti, sono presenti varietà autoctone di elevato pregio e spiccata tipicità, che, se adeguatamente valorizzate, possono contribuire all'affermazione di un'olivicoltura di qualità:

  • L'Ogliarola e la Ravece, in provincia di Avellino;
  • l'Ortice e l'Ortolana, in provincia di Benevento;
  • l'Olivo da olio in Penisola Sorrentina;
  • l'Asprinia, la Tonda e la Sessana in provincia di Caserta
  • la Rotondella, la Carpellese, la Nostrale, la Biancolilla e la stessa Pisciottana, in provincia di Salerno

Sono varietà che hanno evidenziato caratteristiche produttive e qualitative di grande interesse. Accanto a queste sono state individuate altre varietà, che possiamo definire minori o complementari, presenti in modo più o meno diffuso nelle singole aree di coltivazione. Ad oggi ne sono state descritte e catalogate oltre 60; altre sono in fase di studio. Per completare il quadro del patrimonio varietale, occorre segnalare la presenza di varietà extraregionali, in particolare il Frantoio e, in misura largamente inferiore, il Leccino. Tale fenomeno, molto intenso nel passato, tende in questi anni gradualmente a ridursi, anche in considerazione dei vincoli ai finanziamenti posti dall'Amministrazione Regionale.

Le strutture di trasformazione

Le strutture di trasformazione sono capillarmente diffuse nella varie aree di coltivazione, in analogia alla distribuzione della coltura. Attualmente gli stabilimenti oleari attivi, che rappresentano circa il 9% del totale nazionale, sono 555, con una flessione, nell'ultimo decennio, di circa il 20%. Tale contrazione ha interessato essenzialmente le piccole realtà produttive, spesso tecnologicamente inadeguate.

I frantoi con capacità lavorativa inferiore a 5 t giorno, infatti, attualmente costituiscono il 45,8% del totale, a fronte del 72,7% degli anni '90. Invece, va segnalato il forte incremento sia in valore assoluto che percentuale dei frantoi con capacità lavorativa superiore alle 10 t giornaliere, che, oggi, con 112 impianti, esprimono il 20% del totale, a fronte del 9% degli inizi degli anni '90. Prevale, ancora, il numero dei frantoi a pressa, con il 58,9% del totale. Il restante 37% degli impianti continui e il 4 % degli impianti misti, però trasformano oltre il 70% della produzione olivicola, a conferma della più elevata efficienza tecnologica dei nuovi impianti che si riflette positivamente sulla qualità organolettica della produzione. (grafico 12) Modesto è ancora il ricorso all'associazionismo. I frantoi sociali rappresentano solo il 4% del totale. Tali dati, confrontati con quelli relativi alle precedenti annate evidenziano come sia in atto un fenomeno di incremento medio della dimensione degli impianti, cui corrisponde un potenziamento tecnologico delle aziende e un miglioramento qualitativo delle produzioni.

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